Antonio Porqueddu (1743-1810), religioso che si dedica alla scrittura, è un rappresentante significativo della letteratura sarda del secolo XVIII. Scrive "Il tesoro della Sardegna nel coltivo dei bachi e gelsi", pubblicato nel 1779 dalla Reale Stamperia di Cagliari.
Il poemetto didascalico, composto da 199 ottave divise in tre canti e scritto in sardo meridionale (con traduzione italiana), propone anche un ampio apparato di annotazioni esplicative che contengono molteplici informazioni riguardanti gli usi, i costumi, le tradizioni popolari, i proverbi, la lingua, la fauna della Sardegna. Porqueddu, in questioni linguistiche, si schiera contro il purismo. Si pone in posizione assolutamente autonoma e utilizza gli elementi linguistici funzionalmente rispetto allo scopo che deve raggiungere. Mescola continuamente al campidanese il logudorese e compie sostanzialmente una scelta opposta a quella di Madao che invece tende a "ripulire" la lingua e guarda al modello latino. Nel "Su tesoru" si ritrovano sullo stesso piano lingue e dialetti diversi con la base portante del sardo prevalentemente campidanese. Porqueddu, come altri intellettuali di quel periodo, vede nella sua opera lo strumento didascalico per elevare civilmente le popolazioni e assicurare all'isola il progresso economico e sociale. La letteratura sarda del Settecento esprime un forte impegno in tal senso e la moderna critica letteraria tende a sottolineare questo aspetto piuttosto che l'astratto valore qualitativo ed estetico delle singole opere.
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